Ecco un mio contributo sulla vita a Salvador de Bahia, come "entregador" da Uber Eats e Rappi
Vivere a Salvador de Bahia
"Para que chorar se posso rir... Pra que chorar se posso amar... Pra que chorar se posso levantar o rosto e ao céu contemplar... Pra que chorar se posso pra você olhar..." Viny Bahia
giovedì 26 marzo 2020
Vivere e lavorare (come rider) a Salvador de Bahia ai tempi del coronavirus
venerdì 9 novembre 2018
Un libro sul Brasile di cui non vi parlano
In questo libro racconto la mia esperienza nelle strade di Salvador de Bahia, soprattutto in quelle "sconsigliate" ai turisti ed in "cattiva compagnia".
Queste le domande che ci siamo fatto con il mio amico volontario che, negli ultimi tempi", mi accompagna nelle "uscite notturne" con i senzatetto.
Innanzitutto, perché questo titolo?
Gli occhi: la mia curiosità di scoprire il mondo attraverso il viaggio in una realtà distante e differente da quella in cui sono nato.
Scuri: per la predominanza, nello stato di Bahia, di persone di carnagione (e quindi occhi) scuri, ma anche per le sofferenze con la quale mi sono imbattuto trascorso il periodo di illusione del turista.
Del samba: perché, nonostante tutto, il popolo brasiliano resta un popolo festoso e il samba racchiude magnificamente l'anima allegra e spensierata, ma anche la saudade, il ricordo, il sogno, il desiderio.
Quali sono le prime sofferenze in cui ti sei imbattuto e quali le cause?
Sicuramente è stata la realtà dei meninos de rua (bambini di strada) con la loro scaltrezza da piccoli adulti, ma anche con la voglia di divertirsi e di godersi la libertà, putroppo illusoria, dei primi anni di vita di strada.
Le cause... complicato rispondere, forse non basterebbe una tesi di laurea!
Per esempio le enormi disuguaglianze sociali sono causa una causa di sofferenze, ma sono anche la conseguenza di altri processi.
La mia opinione personale è che la colonizzazione del sudamerica, in generale, ha portato ad una società nata e cresciuta su rapporti di forza e potere (la schiavitù). In particolare, lo stato di Bahia è quello con più alta presenza di discendenti di schiavi africani. Non bisogna poi dimenticare che la schiavitù è stata abolita solo a fine '800 e che il Brasile è stata una dittatura fino al 1985: è quindi una democrazia giovanissima. Qui nella Bahia si parla tanto di ricchezza culturale, di "mistura" di culture, ma non si è trattato di un processo spontaneo di popolazioni che, volontariamente, sono andate a vivere insieme, ma di un processo violento, imposto attraverso le armi e il mantenimento del potere.
Negli ultimi anni poi il consumismo e la globalizzazione hanno aumentato la quantità di status symbol e acuito la corsa sfrenata verso l'ostentazione del benessere, acquisito a tutti i costi (dalla violenza, all'indebitamento, al lavoro esagerato).
Purtroppo, in questa corsa sfrenata, qualcuno non ce la fa...
Queste le domande che ci siamo fatto con il mio amico volontario che, negli ultimi tempi", mi accompagna nelle "uscite notturne" con i senzatetto.
Innanzitutto, perché questo titolo?
Gli occhi: la mia curiosità di scoprire il mondo attraverso il viaggio in una realtà distante e differente da quella in cui sono nato.
Scuri: per la predominanza, nello stato di Bahia, di persone di carnagione (e quindi occhi) scuri, ma anche per le sofferenze con la quale mi sono imbattuto trascorso il periodo di illusione del turista.
Del samba: perché, nonostante tutto, il popolo brasiliano resta un popolo festoso e il samba racchiude magnificamente l'anima allegra e spensierata, ma anche la saudade, il ricordo, il sogno, il desiderio.
Quali sono le prime sofferenze in cui ti sei imbattuto e quali le cause?
Sicuramente è stata la realtà dei meninos de rua (bambini di strada) con la loro scaltrezza da piccoli adulti, ma anche con la voglia di divertirsi e di godersi la libertà, putroppo illusoria, dei primi anni di vita di strada.
Le cause... complicato rispondere, forse non basterebbe una tesi di laurea!
Per esempio le enormi disuguaglianze sociali sono causa una causa di sofferenze, ma sono anche la conseguenza di altri processi.
La mia opinione personale è che la colonizzazione del sudamerica, in generale, ha portato ad una società nata e cresciuta su rapporti di forza e potere (la schiavitù). In particolare, lo stato di Bahia è quello con più alta presenza di discendenti di schiavi africani. Non bisogna poi dimenticare che la schiavitù è stata abolita solo a fine '800 e che il Brasile è stata una dittatura fino al 1985: è quindi una democrazia giovanissima. Qui nella Bahia si parla tanto di ricchezza culturale, di "mistura" di culture, ma non si è trattato di un processo spontaneo di popolazioni che, volontariamente, sono andate a vivere insieme, ma di un processo violento, imposto attraverso le armi e il mantenimento del potere.
Negli ultimi anni poi il consumismo e la globalizzazione hanno aumentato la quantità di status symbol e acuito la corsa sfrenata verso l'ostentazione del benessere, acquisito a tutti i costi (dalla violenza, all'indebitamento, al lavoro esagerato).
Purtroppo, in questa corsa sfrenata, qualcuno non ce la fa...
martedì 6 febbraio 2018
Il documentario che parla dell'ormai ex quartiere delle palafitte
Cosa fare se non c'è terreno per costruire? Buttare per decenni spazzatura di ogni tipo e, prima o poi, dove c'era il mare, sorgerà la terra.
Si chiamava "Alagados", "allagati", appunto ed era situato non troppo lontano da una delle chiese più famose di Salvador, Senhor do Bonfim. Popolato per lo più da giovani madri, spesso lasciate dai padri dei propri figli (ma non solo), era tuttavia difficilmente visibile, a causa della particolare conformazione della costa.
Così, per decenni gli abitanti sono stati ignorati, finché la banca mondiale non ha finanziato un progetto che ha permesso di costruire case a loro destinate, principalmente in zona.
Un progetto che ha impiegato diversi anni per compiersi, rallentato da cavilli burocratici ma che, per fortuna, alla fine si è concluso in maniera positiva.
Oggi, Alagados è un quartiere semplice, ma dignitoso, popolato da tanti giovani.
Il documentario "Da maré", letteralmente "dalla marea", accompagna la vita della comunità dal 2004 al 2011, mostrando il progressivo passaggio dalle palafitte alle case in mattoni.
martedì 12 gennaio 2016
Como andare al cinema a Salvador con meno di 1 Euro
E' possibile! Alla Sala Walter da Silveira, un'ottima sala in cui vengono proiettati film storici, documentari, film legati alla cultura locale. Un'ottima maniera anche per conoscere la cultura brasiliana e baiana.

Indirizzo: Rua General Labatut N°27 Barris (Centro) Salvador (vicino alla biblioteca pubblica dello stato di Bahia e in prossimità degli shopping Piedade e Lapa)
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/salawalter.dasilveira/?fref=ts
Programmazione: http://www.dimas.ba.gov.br/2013/sws/sws.htm
martedì 29 dicembre 2015
Italiani che fanno la differenza a Salvador: il projeto Axé
Un progetto per i bambini di strada ideato dall'italiano Cesare de Florio La Rocca
Dopo 25 anni di duro lavoro con i bambini di strada, "quelli che nessuno vuole", Cesare de Florio La Rocca è stato nominato cittadino baiano.
Ma chi è Cesare?

Materializzò la sua idea fondando in Amazzonia a Manaus una delle prime istituzioni per bambini. Il “Centro Social Nossa Senhora das Graças” sorse a Beco do Macero, all’epoca la maggiore delle favelas e oggi un quartiere ormai consolidato. Il centro era formato da una scuola professionale che ospitava 400 adolescenti e un asilo per 200 bambini, tuttora in pieno funzionamento. Nel 1981, considerando concluso il suo lavoro, La Rocca si trasferì a Rio de Janeiro invitato dalla Funabem (Fundacão Nacional do Bem Estar) dove lavorò come assessore tecnico.
Nel 1983 passò a lavorare all’UNICEF dove coordinò fino al 1985 il Progetto Alternativo di Ascolto a bambini e bambine di strada con la Funabem e il Ministero di Previdenza Sociale. Nel 1985 fu nominato a Brasilia rappresentante-aggiunto dell’UNICEF. Ma Cesare de Florio La Rocca sognava di creare un progetto di aiuto per bambini poveri che potesse essere realizzato sotto il segno della “migliore educazione per i più poveri”. Così nacque l’embrione di ciò che a Salvador de Bahia si sarebbe trasformato nel Centro Progetto Axé di Difesa e Protezione al Bambino e all’Adolescente che trovò il forte appoggio della ONG italiana Terra Nuova, del Movimento Nazionale di Bambini e Bambine di strada per il lato istituzionale e di personaggi sensibili come il coraggioso giornalista Gilberto Dimenstein impegnato da anni a divulgare il gravoso fenomeno dei meninos de rua e delle uccisioni ad opera di squadroni della morte.
La specificità del progetto Axé
Ma la differenza principale tra i tanti progetti per i più poveri e il Projeto Axé sta nel metodo: la pedagogia del desiderio. Attraverso l'arte, l'educatore cerca di stimolare il bambino all'ascolto delle proprie emozioni e risvegliare così i sogni che sono stati uccisi dalla dura realtà di strada.
L'obiettivo è passare dal "Non ho nulla da perdere" a "Perché non anch'io?".
Le basi teoriche della pedagogia del desiderio sono solide ed affondano nella "pedagogia degli oppressi" di Paulo Freire, oltre che in Piaget, Freud, Jung, Lacan, Vygotskij.
La finalità non è dunque insegnare i mestieri da poveri (muratore, elettricista, sarto, cameriere, ecc.) ai poveri, ma insegnare ai poveri a puntare in alto, a sognare e, per alcuni a lavorare nel mondo dell'arte.
Ovvero, non vale il principio, molto in voga nella maggioranza dei progetti sociali secondo cui "a chi non ha niente, ogni cosa va bene", ma piuttosto "la migliore educazione per i più poveri".
Dice Cesare: "Con i bambini che vivevano in strada osserviamo e impariamo che, di fronte all'opera d'arte, il bambino diventa fruitore e produttore. Come dice Monet: "Ogni essere umano è un artista".
Continuo a pensare e sognare che un progetto, limitato nel tempo e nello spazio, possa essere trasformato dallo Stato in politica pubblica per tutti. Durate i miei 49 anni in Brasile ho sempre affermato "Sono un sognatore incorreggibile con i piedi per terra". Dopo aver respirato, assaporato e apprezzato i sapori della variegata cultura di questo paese e dopo molte sconfitte e poche vittorie, continuo per le strade del mondo portando, nello stesso tempo, la mia malinconia e la mia speranza.
Ora ho modificato la mia frase e posso affermare, con sicurezza, "Continuo ad essere un incorreggibile sognatore, ma con un piede per terra e l'altro...tra le nuvole"
fonti:
http://projetoaxeblog.blogspot.com.br
http://www.tribunafeirense.com.br
www.sarapegbe.net
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giovedì 24 dicembre 2015
GLI OCCHI SCURI DEL “MIO” BRASILE. DARIO MILANI
Tratto dal sito http://www.voglioviverecosi.com/
GLI OCCHI SCURI DEL “MIO” BRASILE. DARIO MILANI
24/12/2015
Sono
arrivato a Salvador per la prima volta a 21 anni. Non conoscevo nessuno
e non potevo immaginare che quella sarebbe diventata più della mia
seconda casa.
La scelta del Brasile è casuale: conosco in Italia
degli amici di Salvador de Bahia che me ne parlano molto bene.
Soprattutto, mi sta stretta la mia piccola città natale e sento un forte
bisogno di dare alla mia vita un senso che vada oltre un titolo di
studio ed un lavoro. Ma non so bene cosa cercare. Basta la prima
esperienza, di un mese, per capire che il Brasile non è come me
l'avevano descritto, ovvero tutto sole, spiagge e allegria. E' fatto
soprattutto di persone che ti parlano senza che tu le cerchi: non solo
belle ragazze, ma anche bambini di strada, mendicanti, venditori di
droga e tante persone che facilmente iniziano un dialogo con la prima
persona che hanno accanto. Mi sento chiamato a conoscerlo meglio.

Così,
terminati gli studi universitari, mi trasferisco a Salvador per 2 anni,
interrotti da un breve ritorno in Italia. Come volontario, lavoro in
una scuola alla periferia, nel quartiere di Pernambués, offrendo lezioni
di informatica a bambini e adolescenti, poi anche agli adulti;
successivamente divento il responsabile di una raccolta fondi per
acquistare l'edificio che ospitava la scuola. Sembra procedere bene, ma
il confronto-scontro quotidiano con la povertà e, soprattutto, le
disuguaglianze, mi fa male, mi provoca rabbia e un senso di impotenza,
anche e soprattutto verso quella grande fetta di brasiliani che sembra
fregarsene totalmente di chi non ha nulla; anzi, a volte ostenta i
propri beni. Così, con molto rammarico, dico basta e torno in Italia. Il
Brasile mi ha scottato, ho bisogno di riflettere e ricaricarmi. Trovo
con un po' di fortuna un lavoro che poi diventerà a tempo indeterminato.
Ma la mia costante ricerca di senso si è ormai associata al seme
della saudade, ormai già germogliato in me: mi manca il sole, il calore
della gente (di quella semplice), la musica dal vivo e il sentirmi
utile. Dopo circa due anni rassegno le dimissioni, faccio qualche altro
lavoretto, metto insieme tutti i soldi che ho risparmiato nella vita e
torno a Salvador, per rimanerci e comprarvi casa. Nel frattempo mi sono
anche sposato in Italia con una ragazza brasiliana, conosciuta a
Salvador, quindi ho le carte in regola per ottenere il visto permanente.
Cerco di mantenermi dando lezioni private di informatica e italiano.

Ma
le migliaia di persone che vedo dormire sui marciapiedi mi interpellano
sempre di più e lotto contro la mia paura di avvicinarmi. Finché un
giorno mi faccio coraggio con uno che vedo sempre sotto casa mia. Gli
propongo uno scambio: tutte le sere gli offrirò qualcosa se lui mi
parlerà della sua vita. E così conosco Marquinho, che mi mostrerà il
mondo dei senzatetto e i luoghi più nascosti di Salvador,
accompagnandomi con la sua inaspettatamente originale e profonda visione
della vita. Parliamo di tutto, dall'amore ai figli, dal lavoro alla
violenza, da Dio ai viaggi, dall'anima al sesso. Ed è naturale per me
trascrivere in un libro le nostre esperienze, perché non vadano perse.
L'ho chiamato “Gli occhi scuri del Samba”, come ad indicare il lato
oscuro e profondo di un paese famoso soprattutto per la spensieratezza.
Se siete interessati, sotto trovate i link per averlo. Soprattutto, le
esperienze con Marquinho mi hanno fatto intravvedere una ricchezza
ignorata dalla maggioranza: gli incontri con chi sta in strada sono
diretti, fraterni, emozionanti. Abbracci, baci, carezze, lacrime di
commozione e tantissime storie personali raccontate... e questo
privilegio solo perché sto lì ad ascoltare! Sì, mi raccontano anche
tanto dolore, ma se scelgono di condividerlo con me è perché si sentono
accolti. E quando torno a casa sono sempre un po' diverso da quando sono
uscito: stanco, ma carico di emozioni e di ricchezza.
Dopo le
uscite con Marquinho è inevitabile continuare: adesso partecipo alle
attività di una comunità di accoglienza (Comunidade da Trindade) e mi
sono organizzato per portare, nelle uscite notturne, anche un po' di
cibo, che è comunque secondario rispetto all'ascolto delle persone. Se
richiesto, indico possibili centri di accoglienza od accompagno gli
eventuali minorenni. E proprio i bambini mi hanno fatto conoscere anche
la realtà degli orfanotrofi, così che una volta a settimana vado a fare
una visita, insieme ad altri volontari.
Questa, molto
sintetizzata, la mia storia, il mio Brasile. Un Brasile in cui
inizialmente mi vedevo diviso fra la parte del piacere (le spiagge, la
musica, i divertimenti) e la parte fastidiosa (i bambini di strada, i
senzatetto), che si è invece rivelata piena di sorprese e sta dando un
senso alla mia vita. Egoisticamente, incontrare il popolo della notte fa
bene prima di tutto a me.
Chi fosse interessato a fare un'esperienza di volontariato a Salvador de Bahia, può scrivermi: profdario1@gmail.com
o visitare i miei blog
www.gliocchiscuridelsamba.blogspot.it/ e
www.vivereasalvador.blogspot.it/
Per acquistare il libro “Gli Occhi Scuri del Samba”:
Formato cartaceo
www.lafeltrinelli.it/libri/milani-dario/occhi-scuri-samba/9788891165718
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